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Occupazione Vico Untoria 3

Oggi 12 agosto prendiamo possesso dei sei appartementi di Vico Untoria 3, nel Ghetto del centro storico genovese. Li occupiamo perché siamo tutti senza una casa, da quando, martedì 7 agosto, le autorità genovesi hanno deciso di sgomberarci dalla casa occupata di via dei Giustiniani 19. Li occupiamo perché non possiamo permetterci un affitto e perché riteniamo giusto e legittimo non pagarlo nel momento in cui decine di migliaia di spazi, abitativi e non, vengono lasciati vuoti e inutilizzati dalle amministrazioni pubbliche, dalla Chiesa e da ricchi privati di vario genere per mantenere alti i livelli del mercato immobiliare. Li occupiamo perché vogliamo continuare a vivere insieme, perché crediamo che l’autorganizzazione e la condivisione reale siano anch’esse modi per fronteggiare la miseria materiale e affettiva a cui l’attuale società costringe tutti quanti.

Occupiamo questo edificio consapevoli che a fine mese partirà un bando di concorso per la sua assegnazione.

I proprietari, Ri.Genova e il Comune, diranno che rubiamo le case ai poveri, che ostacoliamo un progetto sociale, un esempio concreto di sana gestione della “cosa pubblica”.

Non è così. Abbiamo letto il bando e abbiamo capito le reali intenzioni del Comune e di Ri.Genova su questo edificio e sulla generale riqualificazione di questa fetta di centro storico.

Abbiamo capito che per la giunta Doria, quella dell’amministrazione partecipata, la giunta vicina ai cittadini, per avere “diritto” ad una casa bisogna, sostanzialmente, non essere poveri. Di fatto bisogna avere tutte quelle garanzie sociali che da anni stanno venendo meno come un lavoro fisso e un reddito stabile. E’ necessario non avere debiti con Equitalia o enti affini, non aver subito sfratti per morosità (proprio nella città che ne presenta, con il 73%, la più alta percentuale d’Italia); meglio ancora essere una coppia etero e un nucleo familiare tradizionale.

Tutti questi criteri di assegnazione evidenziano uno scollamento dalla realtà sociale fatta di precarietà, disoccupazione, indigenza e la volontà di escludere una buona fetta di popolazione con bisogni e necessità urgenti, dettati proprio da quelle condizioni materiali e umane non considerate prioritarie dal Comune. Si escludono anche tutte quelle forme di convivenza e condivisione non normate, liberamente scelte e praticate come sostegno e appoggio reciproco alternative alla famiglia tradizionale.

Si tratta di una scelta precisa che mostra quale tipo di riqualificazione l’amministrazione vuole attuare, guardando anche agli altri interventi che si stanno portando avanti.

Il quartiere del Ghetto, oggi presentato come una delle zone buie del centro storico, in mano al degrado, allo spaccio e alla criminalità, con un’altissima precentuale di immigrati, dovrebbe subire quella serie di interventi urbanistici tipici ormai di moltissimi centri cittadini d’Europa e nota come gentrification: rimessa a nuovo estetica, innalzamento dei prezzi immobiliari e commerciali, espulsione dei suoi storici abitanti e comunità popolari ed inserimento di nuove fasce di popolazione abbienti per rimodellarne il volto.

Non vi sarà alcun posto, nel Ghetto del futuro, per chi lo vive, lo anima e lo valorizza con la sua presenza. Piuttosto diventerà una vetrina chic per i turisti, con la sua particolarità storica mantenuta solo di facciata, abitato da manager e ricchi con pruriti alternativi.

Un processo di questa portata non si realizza da un giorno all’altro. Non sarebbe possibile, oggi, alzare di molto il valore immobiliare reale di questo quartiere. E, soprattutto, nessun ricco vi si inserirebbe, ora.

Ecco il perché di un bando simile. Inserire una fascia di popolazione intermedia che contribuisca a modificare a poco a poco la realtà sociale, spostando progressivamente i poveri lontano dal centro e ammassandoli nelle periferie.

Noi rifiutiamo di accettare la completa distruzione della comunità umana, del carattere popolare dei quartieri che ancora la conservano. Pensiamo che solo i rapporti reali e concreti della gente che li abitano possano valorizzarli e renderli vivi.

Noi non riconosciamo all’amministrazione comunale alcuna leggitimità per decidere sui nostri e altrui bisogni. Per queste ragioni ci riprendiamo una piccola parte di ciò che è anche nostro.

Noi siamo gli invendibili, gli incollocabili, quelli che, come tanti, non corrispondono ai criteri dell’assegnazione.

Da oggi siamo qui.

Il bando è chiuso.

giustiniani 19 in esilio

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